“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Si tratta dell’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione della Repubblica italiana e disciplina quello che comunemente viene definito principio di sussidiarietà orizzontale, grazie alla cui applicazione è possibile realizzare il modello governativo dell’amministrazione condivisa.
Per amministrazione condivisa si intende l’alleanza e la costruzione di reti tra cittadini e istituzioni, insieme legittimati dalla Costituzione a perseguire gli interessi generali della collettività. Tale modello governativo può realizzarsi in due modalità: top-down (dall’alto verso il basso) per iniziativa dell’amministrazione stessa; bottom-up (dal basso verso l’alto), per iniziativa dei cittadini. Nel primo caso, l’amministrazione chiede ai cittadini di affrontare insieme un problema di interesse generale a cui, da sola, non riesce a trovare alcuna soluzione (un esempio può essere l’avviamento della raccolta differenziata). Nel secondo caso, invece, sono i cittadini a proporsi come alleati, o meglio, co-amministratori, per perseguire insieme quegli stessi interessi di cui prima, stabilendo, in virtù del principio di sussidiarietà orizzontale, rapporti con l’amministrazione fondati sulla collaborazione e l’integrazione. È proprio di questi rapporti di collaborazione che vogliamo parlarvi.
Innanzitutto, come si realizza concretamente l’amministrazione condivisa?
È un percorso per nulla complicato, che, partendo dall’art. 118 della Costituzione, passa per l’approvazione – in sede di Consiglio Comunale – di un Regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni (cioè beni materiali o immateriali riconosciuti come essenziali per il benessere individuale o collettivo) e arriva fino ai Patti di Collaborazione.
Labsus (ossia il Laboratorio per la sussidiarietà, associazione che promuove un nuovo modello di società basato, giustappunto, sul principio di sussidiarietà orizzontale) definisce i Patti di Collaborazione come «il cuore del regolamento», ossia quello strumento giuridico che permette ai cittadini di una determinata comunità di mostrare le proprie competenze mediante gli interventi finalizzati alla cura dei beni comuni.
Tre anni fa, il Comune di Bologna, grazie all’attività di Labsus, ha approvato il Regolamento per la collaborazione tra amministrazione e cittadini per la gestione condivisa dei beni comuni. Da quella prima esperienza, centinaia di comuni (tra cui quello di Caserta, recentemente) hanno adottato e adattato il regolamento alle proprie realtà.
Quest’anno, Labsus ha pubblicato un prototipo di regolamento aggiornato e semplificato a cui i comuni ancora sprovvisti possono far riferimento (per scaricarlo clicca qui). Ma non solo: sul sito dell’associazione è possibile ottenere informazioni su varie iniziative sorte per mezzo dei patti di collaborazione.
A Poggibonsi, ad esempio, hanno avviato l’iniziativa “Panchine d’autore”, frutto di una collaborazione tra l’amministrazione e un’associazione locale, finalizzata alla realizzazione, decorazione e manutenzione di due panchine, allegando all’iniziativa un messaggio sociale atto a contrastare i fenomeni di femminicidio e di violenza sulle donne.
A Trento, invece, si è realizzato “Fare storie in biblioteca”, con l’obiettivo, sempre su iniziativa di un’associazione locale, di garantire una maggiore fruizione della biblioteca al pubblico, attraverso l’incremento dell’orario di apertura e l’organizzazione di eventi originali (corsi di italiano per stranieri, ad esempio).
Infine, oltre al decoro urbano e alla cultura, i patti di collaborazione possono interessare anche le aree verdi, come, ad esempio, il progetto “Hortus Conclusus” di Parco Dora a Torino. Infatti, lì dove una volta vi era una vecchia fabbrica Fiat è nato un giardino protetto, con arbusti ed essenze particolari e, per merito dell’associazione che lo gestisce, ci si adopera per la promozione dell’orticoltura sociale che mira principalmente al coinvolgimento dei cittadini del quartiere limitrofo.
Perché, dunque, l’amministrazione condivisa non è una sfida, bensì una necessità?
Essenzialmente perché insegna ai cittadini a prendersi cura della propria città (strade, piazze, marciapiedi, scuole, teatri, sentieri e tutto ciò che è riconosciuto dalla collettività come bene comune). In ciò, l’esperienza di amministrazione condivisa contribuisce a dare un messaggio educativo ai più piccoli nell’ambito della cultura civica: se un bambino vede i propri genitori, insieme ad altri cittadini del quartiere, occuparsi di un prato su cui di solito egli stesso gioca con i propri amici, si convincerà che danneggiare quel prato è come fare un torto ai propri genitori e a quelli dei propri amici e, più in generale, a se stessi. Senza dimenticare, infine, l’aspetto della coesione sociale, – che la “gestione condivisa dei beni comuni” incentiva notevolmente -, perché crea, riallaccia e consolida i rapporti sociali tra i cittadini.
Andrea Palumbo

Coordinatore di Fare Comunità. Nato a Piedimonte Matese, classe ’93, si è laureato in Comunicazione pubblica e politica a Torino. Membro di Amici di Pericle, crede nella partecipazione civica come un elemento di supporto ai fini di un’attività amministrativa di qualità.